10 giu 2010

P.le Gadda - Milano


A volte mi chiedo se sia meglio l'indifferenza ai propri doveri dei nutturbini partenopei piuttosto dell'incredibile precisione dei nostri, qui a Milano, che con incredibile e incrollabile dedizione provvedono alla pulizia dei marciapiedi con quei dispositivi ad aria soffiata. Già, perché questa operazione avviene alla stessa velocità con cui una persona persa nei propri pensieri, può camminare per strada, ed il risultato di questo lento rimuginare è accompagnato da un suono modulato e ininterrotto di circa 90-100 decibele il tutto verso le 02h40, le due e quaranta vere, non le 14h40. Ora è estate e se solo si ha un po' d'amore verso l'ambiente, si preferisce la finestra aperta al condizionatore e tali suoni penetrano inesorabilmente nelle nostre buone intenzioni. Potreste dire che sono un insofferente. Ma giusto dieci minuti dopo la fine del primo supplizio, passa il solito deficiente con una Harley che pensa che la sua scia sonora possa essere apprezzata dai circostanti.

La zona ha il suo fascino: P.le Gadda, una toponomastica dell'ultimo secondo, quando un'amministrazione si accorge di essersi dimenticata di qualche illustre cui essere per qualche ragione grata. Un po', per dare ragione a mia madre, come la riconoscenza che Verona ha tributato a Shakespeare.

Ma la zona è fonicamente molto infestata. Il fratello maggiore di quello passato trenta minuti fa arriva a vuotare i cassonetti dal vicino supermercato e lo sgradevole rumore che viene dalle pompe dei sistemi idraulici di sollevamento, sono un lamento che di notte non si sopporta volentieri. Ma pazienza, è il supermercato dove andiamo a fare la spesa.

Certo, lo ripeto, non è un luogo tranquillo ma stasera se sta andando anche bene che non ci sono cinesi vocianti e che il secondo sulla Harley è stato insolitamente gentile e veramente poco espansivo subito si ritorna agli standard usuali: vi sembrerà incredibile, la stazione dei vigili del fuoco, qui vicino in via Messina, lavora anche di notte; ma dopo la mia pazienza verso i precedenti cacofoni, volete che me la prenda con loro che percorrono lo stretto budello di via Bertini a sirene spiegate? O forse era solo un'ambulanza che andava a soccorrere quelche vecchietta colta dall'ansia.

Ora sono le 4h e sto scrivendo con lo stilo sul mio palmare. Non fa rumore, solo una leggera vibrazione ad ogni lettera. Forse è meglio che io approfitti di questa breve tregua sonora. In mattinata ho un incontro importante: dopo più di un anno, forse avrò un lavoro serio e continuativo. (Oggi, nel 2012, so che non accadde)

Solo la mia compagna riesce a dormire senza farsi turbare da questi rumori, lo fa da oltre vent'anni: "che invidia, ci è abituata" direte voi. No, in realtà di notte usa i tappi.

Nulla è come sembra.

3 giu 2010

La questione dei due polli

Non so se durerà molto la pagina linkata essendo edita in televideo; comunque l'autore dell'intervista è un tale Francesco Chyurlia e la vittima (forse inconsapevole dell'esito dell'intervista) il direttore del Censis,Giuseppe Roma.

Una persona, che vorrebbe essere giornalista, durante un intervista al direttore del Censis, a proposito della crisi economica pone una domanda di questo tipo: "Ma i lavoratori non sono diventati più flessibili?" riferendosi alla capacità dell'Italia di superare la crisi e io, non so perché, resto allibito!

Consolare gli afflitti
Questa domanda distribuisce sofferenza e privilegi all'astrazione di una categoria (in questo caso: la categoria lavoratori in generale) estraniandola dagli individui in carne ed ossa che con le loro passioni e con le loro sofferenze vivono. Non chiede quali percentuali di essi siano in una condizione piuttosto che in quella opposta.
È l'antica questione di chi mangia due polli e chi nessuno, molto dibattuta tra chi conosce gli arcani della statistica e chi sicuramente ha due polli sul desco tutti i giorni e si sente appagato del fatto che tutti mangino almeno un pollo.

Cornuti e bastonati
Ignorare tale finezza concettuale significa inconsapevolmente dileggiare chi fa parte della percentuale di singoli che stanno soffrendo oltreché suscitare la loro rabbia: liquidare implicitamente la questione come se privilegi e dolori fossero distribuiti trasversalmente, facendo andare per il meglio, ci racconta la capacità non solo concettuale ma anche linguistica di costui. Il poveretto, essendo un capo servizio nella Rai, ha probabilmente uno stipendio di chi mangia due polli: come può rendersi conto delle condizioni di chi è costretto nella flessibilità? Sicuramente si sente meglio sapendo non soltanto di condividere statisticamente i due polli, ma anche di partecipare statisticamente alla sofferenza della flessibilità.

Come può un'assoluta superficialità e scarsa professionalità come questa, che ritengo non possa essere perdonata nemmeno se il giornalista è 20enne, godere dello status di NON flessibilità = Inamovibilità. Quante altre volte dovremo sentirlo inconsapevolmente deridere chi soffre?

Fame o griffe?
Domande del genere vanno forse bene a proposito della moda, dove si può chiedere se i giovani oggi sono più propensi a cambiare marca o a mantenere sempre le stesse griffe. Ricordo un'intervista a Peter Flower's negli anni '70 fatta da una mia compagna in veste di free lance: il "colui" affermò che i suoi prodotti erano adatti "a giovani che ormai sono diventati contestatori": nonostante avessi 18 anni mi aveva già fatto inorridire allora per la sua vacuità e il blob che era implicito in tale affermazione.
Allora il tizio era scusabile e forse poteva anche essere pertinente.

Oggi la stessa vacuità me la ritrovo riferita ad una sofferenza sociale!
Come sono cambiate le cose!

Solitario: una metafora per affrontare la vita

È strano come si possa capire molto della vita anche da Solitario.
Intendo non uno di quei giochi bellissimi e difficili come Free Cell (fra quelli che conosco, quello che richiede più razionalità), ma bensì "Solitario", quello che ormai accompagna malinconicamente Windows fino dalle sue antiche edizioni 2.0, quello che si gioca per ammazzare il tempo!

Lo giocavo già da bambino e anche quando lo giocavo con le carte, fin da allora lo trovavo stupido, non capivo perché mai mia zia dicesse che era divertente; non trovavo assolutamente nessun gusto nel piazzare al loro posto le carte quando si scoprivano, per poi trovarti dopo due o tre giri di mazzo senza poter più fare alcunché ed avere così sprecato del tempo e delle speranze. Per molti anni l’ho giocato solo quando ero gravemente annoiato e al computer, cioè quasi mai.

Ma come tutte le cose che si imparano da bambini, dipende da come te le insegnano i grandi. In genere per essere alla portata di un bambino, ci vengono insegnate in un modo elementare; poi per tutta la vita siamo costretti a pensare che per risolvere quel tipo di problemi non abbiano altro modo di affrontarle se non quello con cui le abbiamo risolte allora.


Solitario oggi
Ebbene questo Solitario (che scriverò con la lettera maiuscola, perché è il nome con cui è noto dagli informatici anni ‘80) è diventato di recente per me fonte di sorpresa davvero notevole, ora, in età matura, da quando sto imparando a ridiscutere tutto i miei processi mentali ho trovato un nuovo modo di giocarlo e non solo, di alzare la possiblità di risolverlo, da un malinconico 10% dell’infanzia ad un 80-90% di oggi!


Il Caso ha voluto che sul palmare ci fosse il buon vecchio Solitario. In occasione di brevi spostamenti con i mezzi pubblici, mi è capitato di estrarre il mio palmare e di provare a giocarlo: in tali brevi spostamenti non trovavo il tempo per mettermi né a pensare a qualche progetto, né per studiare o leggere qualche pagina. Così impegnavo quei due o tre minuti.



Il Piano di Gioco è l’insieme disposto sul tappeto verde
Il Mazzo è costituito dalle carte ancora da voltare
I Mazzetti sono i gruppi di carte sul piano di gioco: coperti quelli ancora da voltare (ad ex. quello sotto il 4 di Picche) scoperti quelli su cui costruisco (ad ex ciò che verrà aggiunto sopra il Re di Quadri).
Le Colonne sono i mazzetti scoperti che iniziano con un re o con un’altra carta, meglio se vicina al Re; verso la fine ce ne saranno due per i Re rossi e due per i Re neri, mentre durate il gioco saranno di più.
Mossa è qualsiasi spostamento irreversibile, come spostare una carta dal mazzo, scoprire un Mazzetto coperto, etc.

Lentamente, giocandoci, mi sono accorto che alcune mosse che erano per me scontate, in realtà erano ingannevolmente tali: erano solo mosse sbagliate. La facilità con cui si può procedere ad impilare le carte nei posti “legali” è il trabocchetto che è nascosto in questo gioco. Non è sufficiente il fatto che una carte possa essere giocata in un posto in cui può stare perché questa carta sia stata giocata correttamente. Quasi sempre infatti vale un principio molto importante: ogni carta del piano di gioco va posizionata solo quando e se serve.

Curioso! Esattamente l’opposto di come lo avevo sempre giocato.

I simboli della vita
Ogni carta è cioè uno strumento per risolvere il Solitario.
Ogni carta ha un momento piuttosto preciso per essere piazzata e posizionarla senza una ragione può significare occupare una posizione che impedirebbe di scoprire i mazzetti ancora coperti, metafora dell’ignoto che affrontiamo nella vita! Sì, perché mettere una carta del mazzo in una posizione che potrebbe essere usata per una carta che è ancora nei mazzetti coperti significa togliere una possibilità di voltare la successiva provocando una situazione di stallo. Bello!, “le cose facili possono facilmente provocare lo stallo”! Quanta saggezza c’è in questo gioco!

Anche l’ordine con cui si comincia a sistemare le carte quando la tavola è appena stata disposta è importante, ma questo è già più evidente: bisogna privilegiare sempre i mazzetti con il maggior numero di carte coperte. Ridurre la profondità dell'incognito!

Ci sono però dei limiti alla ferrea regola e sono dettati dalla logica. Quando le carte da scoprire sono ancora molte è importante procedere alla scoperta di tutto quello che è possibile, ma quando cominciamo ad avere ancora coperte solo una, due o al massimo tre carte e solo in qualche mazzetto, allora diventa più importante estendere al massimo il piano di gioco.

Cosa intendo?

Per poter facilitare la riuscita del Solitario ho bisogno di scoprire più carte possibile e per fare questo ho bisogno del maggior numero di basi presenti e attive possibili su cui costruire solide colonne. Proprio come nella vita!

Quindi quando ho ormai ridotto a non più di due o tre le carte residue coperte sui mazzetti, cerco di mantenere attive le colonne su cui costruire (come il dieci nero indipendente dal Re Rosso nel caso della figura), per cui è importante che io le mantenga indipendenti e non ceda alla tentazione di impilarle (come potrei fare con il Dieci sul Fante) se non c’è già in gioco l'altra colonna gemella. Se vi cedessi, l’apparente ordine, diverrebbe un collo di bottiglia!

Mi piace sempre di più!

Come in questo caso, se ho Re Donne e/o Fanti che soddisfano le quattro colonne su cui costruire, è bene mantenerli attivi. Se spostassi il dieci, sul fante solo perché c’è posto, mi chiuderei una colonna. La donna rossa avrà sicuramente vita breve in quella posizione e sicuramente rappresenta un grave pericolo per tutta la smazzata!

Ecco allora che qualcosa che sembra semplice e diretto diventa una trappola per una carta a venire che non saprebbe dove andare. È curioso come in questo gioco ci si debba preoccupare da subito di avere quattro solide colonne su cui costruire, cercando di mantenerle bilanciate e tutte e quattro in vita: non bisogna avere fretta di creare un ordine facile e apparente, impilando tutte le risorse su una sola colonna che alla fine bloccherà tutte le altre carte sorelle.


Sembra facile!
Già da qui, si comincia a capire che il Solitario non è così semplice come sembra. E in effetti non lo è. Come in molte altre cose, non è difficile muovere le mani ma è difficilissimo ottenere i risultati sperati quando questi sono vincolati in una materia di cui non si conoscono perfettamente le leggi.


Proseguendo, possiamo accorgerci che si devono tenere nel mazzo il più a lungo possibile le carte piccole: sono rapidamente sistemabili, ma possono anche bloccare in caso di Asso “affogato”.
Io ad esempio non sposto una carta piccola prima di aver cercato nel mazzo gli assi con il primo giro: prima comincio a mettere un minimo di ordine nel piano di gioco! Solo allora mi concedo di mettere qualche altra carta, ma sempre se è utile a spostarun'altra da un mazzetto bloccato.

Anche ciò che può andare a posto subito, a volte invece è di ostacolo. Anche quando si è alla fine e sembra che tutto stia per venire è meglio non farsi illusioni: un solitario ha elevatissime probabilità di riuscita se ci sono solo due carte ancora coperte nei mazzetti, ma ricordo una volta in cui non sono riuscito a risolverne uno in tali condizioni; ci sono rimasto male.
Data l’esperienza precedente ero ormai sicuro che “due sole carte coperte” equivalente a “ce l’ho fatta” fosse ormai una specie di teorema, forse una congettura. Ma anche in tale frangente il solitario è stato maestro di vita.



Dunque provateci e giocatelo con attenzione, vi riserverà delle sorprese!


Dunque provateci e vivete con attenzione, avrete meno sorprese.

Quando la morale è una cosa seria

(si riferisce ad un post datato 24/06/2002 su un altro sito)

Ovvero come rompo le palle a mio figlio per ogni inezia (e quel che è peggio: ho ragione).

Il discorso è nato qualche giorno fa, quando mio figlio si recò a casa del suo miglior amico per aiutarlo a studiare matematica - così almeno era la versione ufficiale e pure la loro seria intenzione - e rimanere poi a cena.e riprendere gli studi subito dopo.
Arrivato poco prima delle 7 di sera e trascorsa una mezzoretta di studio, come in ogni casa per bene, arrivò ora di cena, per cui si interromperono (o interruppero per i più schizzinosi). Dopo il meritato e famelico pasto (hanno 13-14 anni entrambi), la madre del compagno, malauguratamente, propose loro di andare a procurarsi un gelato prima di riprendere ad immergersi in equazioni e geometrie varie.
I due, ben felici di essere stati temporaneamente graziati, raggiunsero la gelateria preferita in soli 10 minuti: che sf…. era chiusa. Intervenne a questo punto il provvido cellulare. Telefonata a casa, al telefono rispose il padre del compagno di mio figlio, molto più accomodante della madre. Alla richiesta di potersi recare alla gelateria un po’ più lontana - che sicuramente era aperta - l’ignaro accordò il suo permesso e i due mariuoli, allegramente, andarono a recuperare il lontano e perciò ancor più squisito gelato.
Al ritorno: Apriti cielo. La madre incavolata come una biscia prende seri provvedimenti nei confronti del figlio per essersi attardato a zonzo per il paese. Tragedia, “ma con il papà…!”, “non mi importa nulla…”, “ma ho chiesto il perm….!”

Quando mi sono recato a recuperare il mio pargolo, abbiamo iniziato a discutere sulla cosa ed il giudizio di mio figlio era a favore del suo compagno in quanto, avendo loro ottenuto il permesso dal padre, erano in regola e non avevano disobbedito ad alcuno. Il mio giudizio invece non corrispondeva in nulla con il suo, ma fu arduo spiegargli le mie ragioni.

Il primo punto che mi premeva sottolineare poteva partire dalla loro stessa esperienza emotiva: gli chiesi se, nel momento in cui rispose il padre anziché la ben più severa madre, non avessero provato un senso di sollievo e non avessero pensato all’estensione dell’attimo di libertà come ad una cosa già conclusa. Com’è ovvio, mio figlio tergiversava e portava l’accento del discorso verso il permesso ottenuto, “quello era un fatto, e altre storie non ce n’erano…”.
Io insistetti: se avevano provato una sensazione di sollievo alla risposta del padre, voleva dire che già a priori sapevano di chiedere un’estensione non regolare di un permesso già straordinario, quindi a voler essere perfettamente onesti con sé stessi, l’estensione stessa era stata sicuramente estorta approfittando della buona fede.

Il secondo spunto mi serviva per spiegare lo stato di conflitto generato per trarre profitto da una situazione di equivoci. Utilizzare un detentore di potere (il padre) per ottenere un beneficio all’insaputa e contro il parere di un altro detentore di potere (la madre), in un primo momento può comportare un beneficio a causa delle lacune createsi. In un secondo tempo, quando i due detentori di potere arrivano ad una spiegazione, arriverà la reazione e la punizione proprio contro colui che ha approfittato del garbuglio creatosi. Immaginate: una sera d’inverno un uomo telefona ai Carabinieri, dando la propria posizione ed affermando di avere bisogno di soccorso poiché qualcuno gli sta sparando. I Carabinieri intervengono in difesa del malcapitato e sparano; poi scoprono che l’aggressore è la Polizia!
In effetti i due genitori furono entrambi d’accordo: il figlio aveva abusato della fiducia.

Il terzo punto, non meno importante degli altri rimarcava un fatto che era sfuggito ad entrambi: la ragione che li aveva indotti a trovarsi alle 7 di sera, cioè studiare ed aiutarsi reciprocamente. Se la chiusura della gelateria comportava un ritardo ulteriore all’attuazione dello scopo per il quale si erano ritrovati e quindi all’inizio degli studi, avrebbero dovuto loro stessi rinunciare ad estendere il loro momento di libertà Avrebbero dovuto compiere una rinuncia consapevole, che avrebbe permesso loro di guadagnare “punti fiducia” presso i genitori. Tale situazione avrebbe poi portato ad una riduzione del controllo: porco cane! se uno decide di limitare un proprio attimo di libertà per rispettare le regole alla fine ne otteniene di più! Vai a capire i genitori!!

La conclusione fu terribile: gli dissi che era giusto che si fossero comportati così, perché il tentativo di conquistare una fetta in più di libertà è sacrosanto, ma non bisogna mai mentire a sé stessi né perdere di vista le ragioni degli altri. Non si deve mai abusare della fiducia degli altri, ma soprattutto non bisogna mai perdere di vista lo scopo che ci si è prefisso.

Che noia!!!!!

Energeticamente autosufficiente?

Lo leggo ormai su tutti i giornali tutti i giorni e lo sentirei anche alla televisione se non vi avessi rinunciato nel 2006: “Energeticamente autosufficiente”.
È la nuova frontiera, l’aspirazione a cui tutte le persone che possono dirsi civili e intellettualmente preparate aspirano.
Ho giusto letto l’articolo di quella coppia di svedesi che si sono costruiti una casa tappezzata di pannelli solari, l’hanno coibentata con un materiale assolutamente innovativo, hanno usato vetri speciali fatti con bottiglie riciclate e non so quante altre cose, hanno persino un gatto a risparmi energetico, perché contribuisce a riscaldare con i suoi 20w al giorno. Una cosa/casa fantastica. Non hanno pensato all’eolico; ma forse in Svezia non c’è molto vento o forse gli organi meccanici potrebbero avere problemi con le basse temperature.
Eppure qualcosa in tutto questo non torna nella mia mente e se faccio una valutazione anche con quello che accade in Italia, continuo a credere che qualcosa non funzioni.
Anche io vorrei fare di casa mia un’entità autosufficiente energicamente: ci ho provato l’anno scorso con un orto biologico e tecnologico, per essere autosufficiente almeno alimentarmente. A parte l’ingente costo per l’acqua e per la struttura, le verdure che ne ho ottenuto sono state anche di qualità migliore rispetto a quelle comperate senz’altro più fresche e ho potuto vantarmene con i miei amici fanatici di bio-qualcosa: ho quindi in parte ho raggiunto il mio scopo.
Cosa non funzionava nel mio impianto orticolo? I costi di investimento e il costo per il mantenimento idrico dei vegetali! Se aggiungiamo poi il costo per la manodopera di un professionista (almeno in teoria) progettista, coach che vi si dedicava e quello delle delicate e rapaci mani della mia compagna che estirpavano con cura tutte le erbe infestanti, ecco che il prezzo degli ortaggi avrebbe potuto diventare irraggiungibile. Per fortuna essendo quasi senza lavoro la mia manodopera poteva venire prezzolata per valore zero come no ndi rado accade oggi anche ad altri: quindi posso escluderne il costo dal prezzo finale degli adorati ortaggi e rendere più vantaggioso il rapporto energetico del mio orto bio-qualcosa.

La casa

Ma se torniamo al progetto della casa autosufficiente, possiamo fare una serie di valutazioni che partono dai termini di realizzazione pratica, per muoverci via via attraverso i vari meandri di ciò che noi siamo indotti a credere che sia l’”Energo Perpetuum”, la casa che sola sopravvivrà al diluvio prossimo venturo o alla prossima guerra totale.
Partiamo da un’idea molto semplice: quanto costa?
Ok non è il prezzo quello che conta perché l’energia che si risparmia è importante. Allora il costo del manufatto - la casa a consumo energetico zero – è il giusto scotto da pagare all’efficienza tecnologica ed energetica per essere “Green”. Ma consideriamo che quando qualcosa ha un costo elevato, significa semplicemente che per la sua produzione, installazione manutenzione, garanzia, trasporto, studio di fattibilità, progettazione, realizzazione del manufatto, degli impianti di produzione, dello stabilimento, delle navi che lo hanno trasportato, dei camion che ce lo hanno portato, del corso di aggiornamento dell’installatore, della navigazione su Internet, dei nostri spostamenti per trovare la soluzione giusta, del tempo impiegato e delle calorie di cibo che abbiamo mangiato nel frattempo, hanno richiesto energia. Curiosamente possiamo valutare il costo di tale energia approssimativamente come il 75-80% o forse più del valore del manufatto stesso. Il resto è il margine economico utile di chi ce lo ha venduto e che verrà speso dai produttori della realizzazione per mangiare, per vestirsi, per muoversi, per viaggiare per comprare un’auto lussuosa con cui mostrare di essere persone di successo, etc. e cioè per spendere energia: in giusta quantità, quanto sarà il valore che potranno spendere, cioè quel 15-20% di utile sul nostro acquisto.
Ora, torniamo a bomba sul nostro problema. Se andiamo vagando qui e là per internet, possiamo trovare i piani economici di investimento con il tempo di break-even o ROI. Udite, udite: il ROI (Return Of Investment) teorico è di circa 10 anni!
Se per istallare un impianto che risparmia energia spendo una cifra che ammortizzerò in dieci anni, significa che ho immesso energia nel mio processo di produzione dell’energia ad un costo di partenza pari a dieci anni di energia stessa, distribuita in altre forme, ma comunque immessa.
Se poi facciamo bene i conti e andiamo a veder quei siti che parlano del piano economico e del ROI, scopriamo che gli investimenti sono fatti sulla resa teorica con manufatto nuovo. Ma, come ben sappiamo, tutte le opere dell’Uomo sono soggette a decadimento e quindi il ROI sarà più lungo se non addirittura eterno.
Se facciamo inoltre una considerazione che in una crisi economica come l’attuale, immobilizzare un capitale per avere un ROI di dieci anni (e già in molto lo abbiamo immobilizzato per venti con l’acquisto di case che non producono reddito ma solo benessere) è una follia, anzi di più: un crimine economico!
Se fossimo un’azienda seria e chiedessimo un prestito, non esisterebbe nessun ente creditizio che ci finanzierebbe un progetto industriale con un ROI di oltre tre o max. quattro anni. Perché noi invece ci adentriamo in un progetto a ROI 10 anni?
Allora ci possiamo accorgere che fare questo tipo di investimenti, oggi, con la necessità che c’è di disporre di liquidità per fare riprendere il mercato, siamo dei suicidi, che si vogliamo male e che non sappiamo come organizzare né pensare il nostro futuro.
Ma allora perché tutto questo interesse dei media e dello stato per le energie rinnovabili?
È una domanda che mi sono posto qualche tempo fa, ma me la sono posta assieme ad un’altra, perché il fotovoltaico Sì e l’eolico per molto tempo No; anzi tuttora, se ci sono scandali, essi riguardano l’eolico e non il fotovoltaico.
Beh, vi sembrerà strano ma l’unica risposta che mi sono saputo dare è questa, per costruire un impianto fotovoltaico occorrono tecnologie molto complesse e tali tecnologie sono sicuramente appannaggio solo di poche decine di aziende, in genere multinazionali. L’eolico invece può essere costruito anche da un cantinaro evoluto, come ce ne sono tanti.

Volete dire che ritorniamo al solito problema?

Cosa ci può essere dietro

Osserviamo la cosa con uno sguardo più esterno e più strategico:
Per quanto riguarda il finanziamento da parte dei governi ci sono molte considerazioni da fare, alcune dal mio punto di vista valide, altre invece criticabili oppure opinabili, eccone alcune.
Partiamo da una semplice considerazione: il fotovoltaico e in generale la diffusione capillare dei sistemi energetici autonomi sul territorio è un modo con cui i governi centrali ridistribuiscono e restituiscono il problema dell’energia ai propri cittadini, riducendo la necessità di costruire sistemi centralizzati di produzione dell'energia che stanno diventando sempre più difficili da organizzare, finanziare e fare digerire come presenza sul territorio di chi lo deve ricevere (vale il famoso detto: “Yes I want it, but not in my backyard”), oltre a considerare che in Italia non è minimamente possibile pensare di progettare una grande opera che richieda più tempo della vita di uno o due governi: il successivo la smantellerebbe per questioni idio..logiche.
Dall’altra la riduzione della dipendenza dal petrolio è un fattore di libertà importante, ma che dobbiamo avere presente come elemento di costo: la libertà ha un costo!
C’è il fattore immobilizzo di capitale privato a favore di un‘industria e di un capitalismo pesante e questo è un fattore di cui tenere conto: vale la pena distogliere liquidità dal mercato per non produrre? D’altro canto le alternative centralizzate, come il nucleare sono incredibilmente impopolari, soprattutto in Italia.
Vorrei che fosse fatta da molti una riflessione proprio sulla questione del nucleare: forse in pochi si ricordano che tra i fondatori dei Verdi in Italia c’è stato Felice IPPOLITO, che tutti hanno rapidamente messo da parte e poi dimenticato per ciò che ha significato come animatore del CNEN nella prima parte della sua vita pubblica e per ciò che ha patito nella seconda parte sia da parte dei suoi nemici (vedi Wiki) e sia da parte di quelli che lui credeva essere i suoi alleati, sempre per la sua posizione filo-nucleare. Orbene Ippolito, anche ai tempi dei Verdi, era un fautore del nucleare e quando ci fu il referendum, lui si schierò a favore; curiosamente era l’unico esperto di nucleare tra i Verdi, l’unico che pur imbracciando un ideale di un mondo pulito, non avesse chiesto come vittima sacrificale la disponibilità dell’energia a costi contenuti derivante dal nucleare come hanno fatto gli altri suoi compagni: venne ovviamente messo subito in minoranza! EDF remercie!

Giusto per gli ambientalisti, per ritornare ad un punto già accennato:
In questo momento siamo sicuri di sapere quali tecnologie vengono usate per la produzione dei pannelli fotovoltaici, quant’è il contenuto energetico di ogni singola cella, quanta elettricità cioè è stata impiegata per la produzione dei cristalli e dei singoli pannelli? Qual è il vero costo energetico di questa tecnologia così amata e quanto comporta in termini ambientali? Le aziende che producono i pannelli fotovoltaici magari sono in nazioni dove il controllo sull’impatto ambientale non è così stretto come da noi. E poi quant'è la vita media di una cella e qual'è il declino del fattore di efficienza?

E per finire: perché se si fa una ricerca in Internet sull’eolico questo ha un impatto sull’opinione di molto inferiore a quello del fotovoltaico?
Forse per la questione degli uccelli migratori?